venerdì 9 maggio 2014

Guerriglia urbana a Roma per la finale di Coppa Italia...considerazioni sparse ed un'unica domanda: perchè?

E' passata una settimana dalla guerriglia urbana che, in occasione della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina,  ha visto la città di Roma trasformarsi in terra di conquista per criminali travestiti da tifosi. Uno scenario degno delle immagini che ogni giorno ci riportano a teatri di guerra mediorientali. Diverse fazioni di persone incappucciate che  si fronteggiavano con lancio di bombe carta, pietre, e qualsiasi altro mezzo di offesa utile ad avere la meglio sugli "avversari". Stavolta, però, si è andati ben oltre: sono volati proiettili e quasi ci scappa il morto (cosa per altro, purtroppo, che al momento, ancora non può essere esclusa). In questi sette giorni, come sempre capita in occasioni del genere, le massime cariche delle istituzioni sportive e politiche si sono rese protagonisti sui media di dichiarazioni di sdegno sull'accaduto, promettendo, peraltro, l'adozione di misure restrittive ed esemplari volte alla soluzione di questi episodi. A valle di tutto ciò, ed a mente fredda, vorrei condividere con Voi tutti, il mio punto di vista. Il punto di vista di un semplice cittadino, appassionato di sport (tifoso laziale) che non fa parte di alcun gruppo di tifosi organizzati (non che ci fosse nulla di male) e che per questi episodi, e per tutta una serie di ragioni accessorie, si è allontanato dal vivere questo sport con passione.

Clicca sulla foto per conoscere meglio Genny 'a carogna...diventato l'icona dei rapporti calcio-istituzioni del pre-partita di sabato scorso(Immagine: courtesy of Il fatto quotidiano)

Criminalità e non sport. Chi, come me, ha frequentato lo stadio ed ha respirato, per anni, aria di curva, sa bene che gli episodi di sabato nulla c'entrano con il tifo, neanche nella sua accezione più violenta. La storia ci insegna che i tifosi si affrontano a mani nude, al limite, se consideriamo attacchi vili, con armi bianche, mai con armi da fuoco. Questo ci deve indurre a considerare l'accaduto come un fatto di criminalità "comune" e non a registrarlo come un episodio connesso al calcio. Anche quando i protagonisti sono esponenti delle tifoserie. La differenza non è formale ma sostanziale. Sembra, infatti, che lo stadio sia diventato uno "scontificio" rispetto allo stessa azione svolta in un contesto diverso. Un esempio sciocco: una rissa al cinema verrebbe rubricata come rissa e quindi con tutte le conseguenze del caso. Perchè la stessa rissa, ma allo stadio, viene giudicata in modo difforme? Perchè alla stessa azione corrispondono due conseguenze diverse? Allora estendiamo il Daspo ovunque. Allontaniamo le persone dal luogo dove si è svolta la rissa. Fai una rissa al ristorante? Bene, per 5 anni non entri più in nessun ristorante. Vi sembra una cosa sensata? A me affatto! Quindi, partendo dal presupposto - magari sbagliato - che è la logica a comandare le azioni, mi vien da pensare che non si voglia risolvere questo problema. E mi chiedo: perchè? 

Cui Protest? Uno Stato, nel senso più ampio del termine, deve essere più forte di qualsiasi altra organizzazione voglia creare scompiglio al suo interno, magari per perseguire interessi privati, e garantire la sicurezza ai suo cittadini. Se non lo è, c'è qualcosa che non va. Io credo che tutti gli stati lo siano; quando, però, ciò non accade e si lascia spazio a spettacoli da far west di quart'ordine come quello di sabato scorso, allora mi torna in mente la domandina magica di cui sopra: perchè? Se si volesse risolvere, si potrebbe fare. Certo bisognerebbe prendere dei provvedimenti, in tema di struttura adeguate e leggi ad hoc, ma se mai si comincia, mai si arriverà ad un cambiamento. Ed allora siamo sicuri che i nostri governanti vogliano realmente intervenire con decisione? E se no, perchè?  In altri Paesi, vedi Olanda ed Inghilterra, in cui dovevano fronteggiare gli hooligans, il problema ora è risolto. La differenza tra noi e loro? La decisione nel trasformare le dichiarazioni in azioni e, soprattutto, la certezza della pena. In Inghilterra è noto che ad ogni azione, corrisponde una reazione, che puntualmente si verifica. Bisogna avere credibilità e non minacciare e poi, passata la bufera, disattendere puntualmente la minaccia. Io ho 32 anni, ed ho memoria di diversi episodi come quelli di sabato scorso a cui hanno fatto seguito sempre lo stesso tipo di dichiarazione, ma fatti, poi, pochi. Non è che fa comodo avere sui titoli dei giornali contenuti del genere che spostano attenzione su fatti di maggiore rilevanza che solleverebbero, sì, il vero sdegno?

Le soluzioni. Questo è la cosa che mi lascia più punti interrogativi. Magari anche perché non conosco bene la legislatura che regola determinate situazioni. In questi giorni, ho visto e sentito tanti interventi diversi, di politici, istituzioni sportive ed il coro era unanime: la violenza fa parte della società civile; essendo lo sport un microcosmo di essa, non si può pensare di sconfiggerla nello sport se non si affronta a livello sistemico. Io sono d'accordo con la prima parte me meno con la seconda. La violenza fa parte della società civile, ma va affrontata, in ogni contesto, con decisione e secondo il proprio potere. Che i vari responsabili si occupino di gestire il proprio ambito, utilizzando gli strumenti in proprio possesso, invece che appellarsi al "mal comune mezzo gaudio". Nel mio piccolo faccio una proposta, che deriva dalla mia esperienza professionale. Io sono un controller di una società di servizi; e da questo punto di osservazione, sto notando che un problema di tutte le aziende non è tanto il fatturato, quanto i crediti. Mi spiego meglio. Spesso le fatture spiccate non si riescono a trasformare facilmente in reddito perché i clienti non pagano e prima di riuscire ad ottenere il dovuto passano mesi, a volte anni. Basti pensare ai debiti dell'Amministrazione Pubblica. Prima le aziende fallivano perchè eccessivamente indebitate; ora il paradosso: falliscono perchè hanno troppi crediti non riscossi. In questi casi, una delle contromisure è il CRM (Customer Relationship Management), che, tra le altre cose, prevede una classifica di merito dei vari clienti, sotto diversi aspetti. Sulla base di questo, le aziende decidono autonomamente se fornire beni o erogare servizi ad un determinato cliente. La logica qual è? Preferisco rinunciare ad un (presunto) ricavo, se poi per incassare devo porre in atto una serie di azioni operative che hanno un costo eccessivo, che di fatto erode il mio margine. Nel calcio, non vedo il perchè, e mi piacerebbe veramente saperlo, non si possa applicare lo stesso principio. Basterebbe sviluppare un software di ticketing elettronico in cui, ogni volta che si procede all'acquisto, il tifoso fornisca il proprio codice fiscale. Con questo, incrociando i dati (esempio casellario giudiziario) la società saprebbe chi vuole comprare il biglietto e potrebbe, così, scegliere se fare entrare o meno le persone allo stadio. In settimana ho sentito dichiarazioni secondo cui, per fare ciò, bisognerebbe avere stadi di proprietà per gestire la sicurezza, piuttosto che la legge della privacy vieterebbe questo incrocio di dati. Beh, se fosse così sarebbe imbarazzante,  perchè riporterebbe di nuovo la questione nel contesto sbagliato. Non è una tematica legata allo sport, e quindi alle società private. E' tema di ordine pubblico. in questi episodi, le città vengono "violentate" e poi i costi per la bonifica vengono sostenuti della comunità. Non capisco: perchè se i soldi per riparare i danni sono pubblici, la prevenzione debba essere operata da soggetti privati? 

Un nuovo modello. La società evolve. Cambiano usi, costumi, comportamenti, scenari, leggi. Se tutti i protagonisti non si adeguano ai cambiamenti, è inevitabile che si resti indietro. Evidentemente il modello di business del calcio italiano è anacronistico. In questo senso, le best practice prevedono stadi di proprietà, gestione del merchandising, sfruttamento del settore commerciale, etc. In Italia questo non accade e non si fa nulla per poter nemmeno avvicinarsi ad un determinato modello. Come tutte le realtà, i modelli vanno poi modellati sulle caratteristiche del contesto a cui si applica. "Rifacciamoci al modello tedesco. No, meglio quello inglese. Lo spagnolo funziona, copiamolo!". Questi in sintesi i titoloni che spesso hanno spazio sui nostri quotidiani. Beh, su questo il mio commento è solo uno: i modelli, se adottati, vanno adottati integralmente e non solo in parte. Non va bene. Vi faccio un esempio: si parla spesso di modello inglese. Bene. E' storia recente l'acquisto del Leeds United, da parte dell Presidente del Cagliari, Sig. Massimo Cellino. In un primo momento, l'operazione era stata bloccata dalla Football Association in quanto il numero uno del club sardo non aveva superato il fit and proper person test, una sorta di esame per capire se un acquirente è idoneo, degno e credibile per entrare a far parte del loro sistema sportivo e di business. Le accuse dell'associazione calcistica inglese facevano riferimento a diverse traversie fiscali di cui Cellino si era reso protagonista. Per il momento, Cellino ha avuto la meglio, vincendo il ricorso, ma poco importa. Va sottolineata la credibilità del Sistema. Se un modello deve essere fondato su dei principi e dei valori, allora questi devono valere per tutti, a maggior ragione per il vertice. Questo è l'insegnamento che ne viene. Ecco. Le stesse persone che oggi invocano quel modello, sono le stesse, che se applicato integralmente, sarebbero le prime ad esserne estromesse. Un nuovo modello va bene, purchè sia credibile!

Il gioco dei perchè. Tutte queste argomentazioni portano ad un'unica domanda: perchè? O meglio, a diversi perchè, e più nello specifico:

  1. perchè si affrontano situazioni similari in modo difforme?
  2. perchè non si comincia a far seguire alle intenzioni, delle vere e proprie azioni?
  3. cui protest che fatti del genere facciano passare in secondo piano, per parte dell'opinione pubblica, altre questioni, di tutt'altra rilevanza e ricaduta sociale?
  4. perchè non si riforma il calcio integralmente, facendo una revisione totale di tutte le componenti in gioco?
  5. perchè i responsabili non pagano (quasi) mai?
Vi lascio con un evidenza,una provocazione ed un consiglio.

L'evidenza: l'industria calcio è una delle più fiorenti in Italia, ed assicura un indotto al nostro Erario di circa 1 miliardo di euro/anno, milione più, milione meno.

La provocazione: sarà forse questo il motivo per cui non si decide con fermezza di fare un passo indietro, fermarsi e ripartire in modo decisamente diverso? 

Business ed Etica, purtroppo, non vanno spesso nella stessa direzione, ma almeno risparmiateci la finta morale e degli spettacoli ridicoli come quelli che abbiamo assistito negli ultimi sette giorni.

Il consiglio: se vi capita, leggete il saggio "Etica ed Economia", del premio Nobel per l'economia (1998) indiano Amartya Sen. A me, ai tempi dell'università, ha aperto la mente e dato una prospettiva che ancora oggi fa parte del mio bagaglio. 





2 commenti:

  1. Un articolo davvero intenso, specchio purtroppo di una realtà tremenda con cui dobbiamo fare i conti. Volenti, o no. Perchè? Oh, i perchè sono tanti. perchè la logica non c'è più, nè la civiltà (principio meraviglioso nato dal progresso dell'uomo per tenere a freno proprio la violenza primordiale insita nell'uomo... e che si è perso con la sua regressione); perchè oggi governano non i giusti ma i furbi, gli ipocriti e gli arrivisti... perchè non si conosce più la nobiltà di uno sport, che dovrebbe insegnare la correttezza e la sportività, quando invece da spazio solo a sentimenti negativi e alla scorrettezza. Concordo con te, in tutto: specialmente sulla finta morale perchè è qualcosa che insulta gli intelligenti e offende chi riesce ancora a pensare con i propri neuroni. Se davvero non si usassero due pesi e due misure e si iniziasse sul serio a tenere il pugno di ferro, credo che qualcosa inizierebbe a funzionare... Complimenti, Luca: te l'ho detto e lo ripeto. Giornalisti lo si è dentro e tu lo sei alla grande. Un abbraccione! E un bacio alla tua bella Vale <3

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