Quante volte vi è
capitato che un parente, conoscente, collega o amico, più grande di voi, con fare contrito, guardandovi dritto negli occhi, come se stesse per spiegarvi
cos’è il Bosone di Higgs, poggi una mano sulla vostro spalla, e, scuotendo il
capo in segno di dissenso, vi dica: “Ragazzo
mio, sai che ti dico? Non ci volevo credere, ma è proprio vero; si stava meglio
quando si stava peggio!”. E da lì parta con una dissertazione sui massimi
sistemi tale per cui tu, in quel momento, vuoi solo sparire e pensi “Invisibile,
invisibile”, sperando che, come per magia, l’esortazione funzioni e qualche
aiuto ultraterreno, di qualsiasi altro sistema interstellare, possa salvarti da
quei cinque minuti di “nulla cosmico”. Ecco. Di fronte ai luoghi comuni io sono
critico per definizione. Un po’, per rifiuto di omologazione, un po’, perché io
amo ragionare sempre con la mia testa. Però, perché è anche vero, che c’è
sempre un però, se andiamo a leggere tra le righe, c’è sempre un significato,
magari nascosto tra i meandri, positivo. Nello specifico, il messaggio è: semplicità=bontà.
Con il progresso e con l’opulenza, la scienza e la tecnica hanno mosso passi da
giganti, sebbene molto vada ancora scoperto, per fortuna. Il mercato, anche per
esigenza di riconoscibilità delle aziende, ha promosso una grossa accelerazione
sulla personalizzazione dei prodotti. Sempre più nicchie di prodotti, avvenuta
anche a seguito della liberalizzazione. Tecnicamente si dice che il mercato è
polarizzato. Chi, quindi, prima aveva il monopolio o era riconosciuta come
riferimento del proprio segmento di mercato, ora, per mantenere la stessa
posizione, ha necessità di comunicare che, in ogni caso, è l’azienda che riesce
a rispondere, al meglio, ai bisogni delle persone. Perché, ricordate, per avere
efficacia sul mercato, il marketing deve essere in grado di costruire un’immagine
che non sia circoscrivibile nel prodotto/servizio, ma nell’esigenza a cui quel
prodotto risponde. Quindi, per esempio, il vettore aereo non è un’azienda del
settore mobilità, bensì è l’azienda che risponde alla tua esigenza di vacanza e
quindi di riposo mentale. Vi cambia la prospettiva, non credete? E’ più il
messaggio è positivo, più i consumatori finali sono disposti a spendere di buon
grado. Per aumentare la redditività, ogni azienda, deve rispondere a dei
comportamenti di acquisto. E quando non ci sono, le aziende cercano di crearli.
Come? Cercando di indurli con messaggi. Sempre più settoriali, specifici. Un
esempio banale ed attuale. Avete notato che, nel mercato farmaceutico, da
qualche mese le medicine sono sempre più specifiche, diversificate per
intensità del disturbo da risolvere. Basti fare attenzione alle pubblicità. Hai
un dolore? Ok, c’è medicina. Ma, quanto è intenso? Se poco c’è questo
medicinale, se il dolore è forte ho questo, che è simile solo che te lo fa
passare in 3 minuti invece che in cinque. Il retromessaggio che io, dall’alto
della mia “ignoranza” colgo è: perché soffrire inutilmente? Paga che ti passa…prima!
Quanto valgono per te due minuti di benessere in più? Se hanno un valore, il
mercato intercetta questa esigenza e ti offre la soluzione. E personalmente lo
ritengo anche corretto. D’altro canto, tutto questo meccanismo, porta ad un’altra
equivalenza: personalizzazione=complicazione.
Che di per sé non è negativa, ma richiede, comunque, abilità nel gestirla. Una
cosa, però, è fondamentale: non credere che le cose “semplici” siano sbagliate.
Con questa ricetta, voglio proprio dimostrare questo. Per veicolare questo
messaggio, ho scelto di proporre un ingrediente semplice, ma buono; che riporti
alla mente la cultura della coltura: la ‘nduja. Made in Calabria. Home made in
questo caso. La ‘nduja utilizzata è stato un gentile dono di Emma, una mia
collega originaria di Ca-tan-za-ro. Per chi non lo sapesse, la ‘nduja è una
preparazione a base di grasso di maiale. Avete mai sentito il detto “del maiale
non si butta niente”? Eccone una dimostrazione. Nello specifico, quella della
signora Maria, contadina d’altri tempi che ha confezionato questa meraviglia, così composta: grasso di maiale, peperoncino calabrese (altro fiore all'occhiello della punta dello stivale italico), pomodoro e peperoni. Tutti insieme appassionatamente, nello stesso budello. Vi assicuro che è più buono di quanto
sembri. Se chiedete ad un calabrese come impiegarlo, ti risponderanno: “ovunque,
anche nel cappuccio a colazione”. Pensate che questo era il pasto “povero” dei
contadini, dei pastori, di tutte quelle figure che vanno, purtroppo, sempre più
scomparendo; uscendo all’alba per andare sui campi, sui pascoli, ed
avevano necessità di fare un pasto fugace, calorico e pratico. La ‘nduja era il
companatico perfetto. Possiamo definirlo “povero” solo perché economico, visti gli ingredienti, ma non a livello di gusto. La ‘nduja, infatti, è saporito (il
maiale), dal gusto definito (piccante del peperoncino) e, nel mio caso, dai
profumi mediterranei (pomodoro e peperoni). Insomma, tanta roba! Io ho pensato
di abbinarlo ad un classico italiano: la pasta. Ho scelto gli spaghetti di mais,
per provare un nuovo abbinamento. Risultato interessante…il dolce del mais
stempera bene il picco di gusto della n’duja…gluten free ma con tanto gusto…
Ingredienti per 4 persone:
- 400 g di spaghetti di mais;
- 'Nduja qb
- basilico o menta
Solo 3 ingredienti. Semplice, no? Pochi? Equilibrato direi. Non per altro è il numero perfetto. Tralasciando le teorie che portano a questa credenza, e passando alla scienza che più ci appassiona, quella culinaria, in questo caso, non tanto per il numero, quanto per l'equilibrio, è una ricetta veramente centrata.
Avete una cena improvvisa di amici da organizzare all'ultimo momento? Questa una soluzione. E' la classica soluzione last second. Potreste anche invitare il vicino incontrato in ascensore e fare un figurone, tanto è facile l'esecuzione di questo primo.
Chi mi conosce e segue sa che amo dare nelle mie ricette i rapporti tra gli ingredienti perché è un modo semplice di ricordare e di agevolare le cose. In questo caso, però, è particolarmente difficile, perché nell'arte del grembiule, per fare gli abbinamenti, la parola d'ordine è armonia. Tra i sapori, tra le note di gusto. Per armonizzare, però, è fondamentale conoscere.
In questo caso, dovete capire, solo assaggiando il vostro prodotto, quando utilizzarne per la quantità di pasta che dovete preparare. Per una volta, quindi, metodo empirico, o come dicono quelli bravi, i fighetti del controllo: "per approssimazioni successivi". Fate le prove, insomma.
Una volta centrate la giusta quantità, l'esecuzione è banale: mentre la pasta cuoce, in abbondante acqua salata, sciogliete, senza alcuna aggiunta di grassi, la vostra 'nduja in una padella.
Punto di attenzione 1 - gestire la sapidità. Il peperoncino è un esaltatore di sapori, quindi, restate bassi ed avrete il giusto mix.
Punto di attenzione 2 - I tempi: essendo grasso (la 'nduja, non io...) si scioglierà in breve tempo, quindi, per evitare che si raffreddi, aspettate gli utlimi tre minuti di cottura.
Una volta sciolto, scolate la pasta, avendo cura di lasciare un pò di acqua di cottura che vi aiuterà a creare la giusta viscosità.
Saltate in padella e servite, guarnendo con foglioline fresche di basilico o menta (la nota fresca).
Quanto al formaggio, io ve lo sconsiglio. E' un piatto tendenzialmente asciutto, rischiate lo spiacevole "effetto colla".
Buon Appetito
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